Apertura della Federazione su “velocizzazione dei provvedimenti attuativi, ed anche a lievi modifiche a patto che non mettano in discussione lo strumento o ne snaturino le previsioni cardine”
Riceviamo e volentieri pubblichiamo un comunicato di Finco, Federazione delle Imprese per le Costruzioni, relativo al Codice degli Appalti pubblici in merito alle tante voci, alle prese di posizione e agli articoli che si stanno susseguendo in queste settimane in merito a una profonda revisione del Codice Appalti.
Foto: Edilizia residenziale pubblica, doc. Regione Piemonte
Da più parti si continua a mettere in discussione l’attuale assetto del Codice degli Appalti, enfatizzando aspetti di blocco di lavori che tale Codice avrebbe generato ma la realtà sottesa a queste critiche e le ragioni sono più complesse di quello che appare.
“Qualcuno ritiene facile che in questo Paese – la cui pubblica amministrazione inizia ora flebilmente ad applicare una legge assai più semplice come quella dell’autocertificazione del 1968 ed ancor più flebilmente a non richiedere a terzi documenti già in suo possesso – possa prontamente applicarsi una normativa che intercetta il 15% del Pil italiano? E ciò anche ammesso che vi sia la volontà politica da parte delle stazioni appaltanti e delle amministrazioni di andare in questa direzione, volontà che invece è noto non esserci poiché sottrae potere alle suddette (vedi la vicenda della nomina dei Commissari di gara o della qualificazione delle Stazioni Appaltanti che è un aspetto politico centrale)” afferma la Presidente Finco, Carla Tomasi.
“Ma quand’anche fosse così poniamoci una domanda – esorta la Presidente -tutti i principali protagonisti hanno partecipato a pieno titolo alle 32 audizioni parlamentari tra Camera e Senato sul tema, alle 5 presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, a decine e decine di dibattiti istituzionali o meno organizzati prima del vigore della norma, senza contare le centinaia di note formali ed informali, articoli e quant’altro che tali stakeholders hanno inviato e/o ricevuto e si sono scambiati nel triennio di gestazione della normativa.
Il testo emanato è frutto di uno studio profondo della realtà imprenditoriale del Paese e rappresenta un responsabile bilanciamento tra le istanze imprenditoriali e la necessaria qualità delle opere. Non sarà che si tenta in ogni modo di “far rientrare dalla finestra” ciò che è giustamente uscito dalla porta, come la possibilità di subappaltare liberamente anche il 100% delle opere acquisite in gara, che è stata definitivamente cassata, ed è uno dei punti centrali, se non il punto centrale sotteso a tutte le pretese di chi vuole affossare il Codice”.
Aldilà di alcuni aspetti che vanno rivisti (ed ha ragione il Presidente Cantone a dire che forse occorreva un periodo transitorio), le gare di progettazione, quelle di Anas, assieme ad altre tipologie di bandi, sono in aumento.
Dati recenti diffusi da Oice, evidenziano, a questo proposito, come tra Febbraio 2018 e Febbraio 2017 le gare di progettazione siano aumentate del 38,2 % in numero e di 112,1 % in valore e come, nel solo mese di Febbraio 2018 siano state bandite 340 gare, secondo dato migliore in assoluto dal 2015. Se dunque la progettazione è ripartita in maniera così importante, non si può pensare che tutto il resto sia rimasto fermo o lo rimarrà ancora a lungo.
Non dovremmo fare anche una riflessione – e prendere atto – che il mercato è cambiato ed inizia a richiedere tipologie di opere diverse e maggiori qualificazioni d’impresa?
In definitiva, che il nuovo Codice dei Contratti Pubblici non piaccia alle imprese edili generaliste (ed ai loro più o meno consapevoli “supporters”) è cosa risaputa; formalmente perché condurrebbe alla “paralisi” degli appalti, sostanzialmente perché sono stati introdotti una serie di meccanismi che “orientano” la loro libertà di impresa (rectius), la libertà di fare quello che vogliono): limiti al subappalto, limiti all’appalto integrato, limiti alla possibilità di varianti, limiti alla possibilità di pagare il subappaltatore “con calma”, limiti alla possibilità di qualificarsi con i lavori fatti da altri…
Con ciò non si vuole nel complesso dire che il Codice non sia perfettibile e certamente la frammentazione (ed il ritardo) della normativa esecutiva sono un problema, ma fino a quando non sarà completamente applicato non potrà essere seriamente valutato.
Non è condivisibile neppure paventare il rischio di una riforma “incompiuta” solo perché mancano una serie di atti applicativi: la struttura del Codice è complessa ed ha l’ambizione di essere, al tempo stesso, innovativa e mirata ad una più ampia partecipazione delle piccole e medie imprese rispetto al passato, e questo, inevitabilmente, ha delle ripercussioni sui tempi di piena attuazione della riforma.
Né si può seriamente pensare, come detto, che una riforma profonda che impatta il 15% del PIL del nostro Paese possa essere di semplice ed immediata operatività.
“Il fatto che manchino Linee Guida e Decreti attuativi non deve trasformarsi in un alibi per le stazioni appaltanti che potrebbero tranquillamente bandire gare come hanno fatto – usando le regole che ci sono – tutte quelle Amministrazioni che hanno consentito la crescita esponenziale, ad esempio degli appalti di progettazione (Anas, Ferrovie, ed altri). Insomma questo Codice degli Appalti, riformato in armonia con le Direttive Comunitarie, non può essere modificato mentre lo si sta ancora completando con i necessari corollari di decreti ministeriali e di soft-law, a meno che non si voglia uscire dal perimetro dei Paesi che della innovazione tecnologica e delle specializzazioni fanno la propria bandiera. E, soprattutto, non si vogliano aspettare anni per la relativa operatività. Sì, dunque, alla velocizzazione dei provvedimenti attuativi, ed anche a lievi modifiche a patto che non mettano in discussione lo strumento o ne snaturino le previsioni cardine” – conclude Carla Tomasi.
Ufficio Comunicazione Finco
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