La Federazione Finco (40 Associazioni per 13.000 imprese) in audizione presso la Commissione Lavori pubblici del Senato: “A fare i lavori siano le imprese realmente qualificate. No all’eliminazione del tetto al subappalto.”
Il Codice degli appalti continua a far parlare di sé. La Federazione Finco (40 Associazioni per 13.000 imprese), che rappresenta la più grande concentrazione di imprese specialistiche e superspecialistiche in Italia, esprime forte preoccupazione in relazione alla pressione esercitata circa la revisione di alcuni aspetti salienti del Codice dei contratti pubblici, particolarmente in tema di subappalto, per addivenire ad una liberalizzazione che invece il Legislatore ha già, a più riprese, bocciato ritenendo, giustamente, che tale istituto nel nostro Paese debba continuare a essere regolamentato.
Interessato a tale completa liberalizzazione dello strumento è perlopiù quel settore dell’imprenditoria che, invece che investire in mezzi e manodopera, preferisce subappaltare, di fatto creando talvolta una sorta di concorrenza sleale. Non si sta parlando del subappalto di opere semplici, che ben si prestano ad essere affidate attraverso questa fattispecie, ma di opere specialistiche e super specialistiche che spesso (per non dire quasi sempre) hanno a che fare con la sicurezza e con i beni più preziosi della collettività.
Gli esempi sarebbero molti: dalle dotazioni passive di sicurezza stradale agli impianti tecnologici sofisticati, dal restauro dei beni culturali alla carpenteria metallica, dall’archeologia al verde storico, dalle fondazioni alle facciate continue, etc. Affermare di essere a favore della qualificazione di impresa (chi non lo è?) non ha senso se poi si è al contempo a favore della completa liberalizzazione del subappalto ed a favore dell’avvalimento (cioè lavorare con i requisiti di altri).
Nell’Audizione del 29 novembre scorso presso la Commissione Lavori pubblici del Senato, Finco ha tra l’altro illustrato una parte dei contenuti presenti nel documento di risposta alla Consultazione promossa dal Mit e conclusasi il 10 settembre scorso. In particolare:
– L’impostazione del nuovo Codice deve partire da stazioni appaltanti qualificate che sappiano gestire anche la fase esecutiva; negli ultimi due anni – forse non casualmente – non si sono fatti passi in avanti sotto questo nodale profilo;
– la qualificazione dell’operatore economico. Nella bozza che Anac ha presentato al Governo vi è una definizione specifica dei criteri di qualificazione; per le lavorazioni superspecialistiche occorrerebbe però un maggiore dettaglio. Vi deve essere una specializzazione affinché non si disperda denaro pubblico, le opere siano eseguite al meglio e le professionalità delle imprese che investono in qualità siano valorizzate;
– il subappalto è una tematica delicatissima soprattutto in riferimento al limite del 30%. Il Codice chiede che i lavori si svolgano in proprio e che si possa subappaltare entro certi limiti. Il limite del 30% sul complessivo dei lavori deve essere tutelato. Inoltre, deve essere conservato anche il pagamento diretto al subappaltatore. Altra questione da lasciare immutata è il ribasso massimo del 20% che l’appaltatore può applicare al subappaltatore su un determinato lavoro. È necessario qualificare meglio chi lavora nel settore pubblico e il subappalto è l’anello debole della catena anche perché è potenzialmente soggetto alle infiltrazioni malavitose. E’ fondamentale Introdurre un “Contratto tipo” del subappalto.
– l’equiparazione di tutti i concessionari: non ha senso per quelli autostradali avere una possibilità di affidare lavori in house più ampia (ossia il 40% di attività svolte in house – cioè date a sé stessi – e il 60% in esterno) rispetto alle altre tipologie di concessionari;
– l’offerta economicamente più vantaggiosa. Essa continua a prestarsi a molte storture. Il meccanismo andrebbe migliorato per far sì che vinca l’offerta tecnica migliore. Il limite al massimo ribasso andrebbe innalzato per i lavori nei Beni Culturali al livello degli altri lavori;
– i Criteri Ambientali Minimi (CAM). L’Italia ha un Piano energetico nazionale ed è molto sensibile al tema della sostenibilità, per raggiungere i relativi obiettivi i CAM sono diventati obbligatori per tutti gli appalti ma le stazioni appaltanti non sempre sono in grado di applicarli; possedere alcune specifiche certificazioni ambientali (oltre che sociali) molto spesso non viene inteso come requisito premiante ma come limite alla partecipazione alla gara. I CAM andrebbero accompagnati con un periodo transitorio per aiutare le imprese medio-piccole. Occorre, pertanto, rivedere la perentorietà della loro applicazione.
Finco sostiene come sia apprezzabile l’impegno di Anac nell’esercizio delle sue funzioni. Il Codice non ha avuto il tempo di dispiegare le sue possibilità, quindi non si può giudicare ancora compiutamente. Va segnalato che ritornare ad una normativa unitaria di secondo grado sarebbe comunque utile come anche il rafforzamento delle funzioni di Anac sulla vigilanza e sul precontenzioso.
Con l’occasione, vanno altresì segnalate positivamente, da un lato, alcune misure contenute nell’emanando decreto semplificazione quali la cessazione dell’obbligo, mutato in facoltà, di indicare una terna di subappaltatori in sede di appalto e la progettazione semplificata per le opere di manutenzione, entrambi aspetti richiesti da Finco. Desta perplessità, d’altro lato, il previsto innalzamento a 2.5 milioni della soglia applicabile agli affidamenti di lavori attraverso la procedura negoziata da parte delle Stazioni Appaltanti.
Condividi l'articolo
Scegli su quale Social Network vuoi condividere