
La filiera degli smart building genera 174 miliardi di euro di fatturato e 38 miliardi di valore aggiunto. Lo dice lo studio della Community smart building di TEHA, ma ancora fondamentale è la formazione delle nove figure
Edilizia sostenibile, smart building, impatto degli incentivi sull’ambiente, soluzioni green nel mercato office, … cosa è successo in questi giorni nel mercato dell’edilizia?
Potenzialità della filiera edilizia sostenibile
La filiera degli smart building genera 174 miliardi di euro di fatturato e 38 miliardi di valore aggiunto. Attualmente dà lavoro a 515mila persone, a cui in prospettiva se ne aggiungeranno altre 200mila di qui al 2030. Lo dice lo studio della Community smart building di The European house-Ambrosetti (TEHA).
Dalla ricerca emerge che per 8 posizioni aperte su 10 vengono richieste competenze green e smart, ma nel 57,6% dei casi mancano i candidati adeguati: 124mila operatori specializzati come serramentisti, idraulici, elettricisti, muratori, 54mila installatori di sistemi avanzati di domotica, automazione, fotovoltaico, e 14mila tecnici esperti in manutenzione, cybersecurity e integrazione di sistemi. A questi si aggiungono 11mila ingegneri tra elettronici, energetici e sviluppatori di software e 10mila progettisti tra architetti, geometri e designer di interni.
La formazione diventa quindi sempre più una priorità, anche per preparare professionisti che illustrino il valore delle nuove soluzioni in modo da sensibilizzare i consumatori.
L’impatto degli incentivi sull’ambiente
È stato presentato alla Camera in Commissione ambiente il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sull’impatto ambientale degli incentivi fiscali in materia edilizia.
Dopo due anni dall’inizio dei lavori si sono valutati gli effetti e le ricadute, le possibili nuove regole e le criticità emerse dal punto di vista economico e fiscale del sistema degli incentivi in materia edilizia, considerati anche gli obiettivi energetici e di riduzione delle emissioni fissati dalle direttive EED e EPBD.
Nel corso dell’attività conoscitiva svolta dalla Commissione tra le critiche sollevate c’è ad esempio il fatto che il Superbonus abbia riguardato solo il 3% dei 12 milioni di edifici che necessiterebbero di interventi di efficientamento e che, in termini di costi, la riduzione di CO2 ottenuta è costata circa 10 volte il valore di riferimento sul mercato ETS. Secondo quanto rilevato in un’audizione della Banca d’Italia, i benefici ambientali del Superbonus ripagherebbero i costi finanziari in circa 40 anni.
In generale è emersa l’esigenza di una razionalizzazione del sistema di incentivi, per rendere economicamente ed ecologicamente sostenibile l’investimento in termini di rapporti costi-benefici.
Tenendo conto del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) si ritiene opportuna una riforma generale che dovrà avere una durata almeno decennale, prevedendo una modulazione dei benefici in funzione delle performance generali raggiunte dall’edificio, da ottenere attraverso interventi con vari livelli di priorità.
È emersa anche la necessità di pensare a misure di sostegno per l’adeguamento del patrimonio edilizio alle regole e alle scadenze previste dalla Direttiva green, ferma restando la necessità di una revisione mirata della direttiva stessa al fine di assicurarne una maggiore gradualità nel perseguimento degli obiettivi.
Le soluzioni green pesano nel mercato dell’office
Nel corso del 2024, con 2,6 miliardi di euro investiti, l’office ha visto crescere i volumi del 55% sul 2023, ma resta un valore dimezzato rispetto a due anni fa.
Dal secondo Global Real Estate Investment Forum di Pimco risulta che a livello globale la quota di uffici nei portafogli immobiliari commerciali istituzionali è scesa dal 35% nel 2022 al 29% attuale e sono probabili ulteriori cali.
Mentre negli USA gli uffici si sono svuotati e i manager faticano a riportare i collaboratori in sede, in Europa lo smart working è una tendenza che in alcuni casi sta rientrando. Sussiste una solida domanda per strutture di pregio che adottano soluzioni green ubicate in zone centrali di primari centri urbani. Le locazioni tendono a essere di lungo periodo e le norme in materia energetica probabilmente ridurranno in modo importante l’offerta esistente in quanto per molti immobili sarà difficile soddisfare i requisiti europei sempre più stringenti.
Se nelle principali città europee il patrimonio degli uffici in classe A è pari al 36% dell’esistente, a Milano il nuovo è pari solo al 14% e circa il 90% dev’essere ristrutturato o riconvertito perché obsoleto, in particolare l’86% del costruito direzionale è in classe B o C. Solo una parte, gli edifici meglio posizionati, più centrali o collegati ai mezzi di trasporto pubblici potrebbero essere riefficientati come uffici, per gli altri servirebbero progetti e investimenti per una nuova destinazione d’uso.
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