Quanto siamo lontani dagli edifici a rifiuti zero? Abbastanza da preoccuparcene in termini eco-ambientali. Slogan e percorsi mendacemente virtuosi eludono un punto sostanziale: il nodo da sciogliere, a monte, è il progetto alla scala dell’edificio, delle sue componenti e dei prodotti. Come dichiara il nuovo protocollo UE di recente pubblicazione.
Si definisce upcycle la conversione dei prodotti di scarto in nuovi materiali di qualità per costruire abitazioni a basso impatto ambientale. Detto in maniera più semplice, il termine upcycle significa che, quando un oggetto edilizio nel suo insieme o una parte di esso giunge a fine vita, i materiali utilizzati per la sua costruzione vengono disaggregati e possono essere riutilizzati.
Spinti dall’urgenza ambientale ed etica, i materiali derivati dagli scarti – vetro, gomma, pneumatici e contenitori per gli alimenti – vengono combinati in modo opportuno, complici le discipline dell’ingegneria e della fisica, ottenendo eco-materiali particolari ad alte prestazioni, resistenti sismicamente e adeguati per i processi costruttivi contemporanei.
La cultura tecnologica della progettazione, intesa come strumento di previsione e controllo degli impatti del costruito sull’ambiente, richiama la necessità di introdurre sin dalla prima fase progettuale il tema dei materiali.
Le iniziative intraprese a ogni livello del processo edilizio possono originare direttamente o indirettamente dei rifiuti, perché tutti i materiali immessi sul mercato sono destinati, presto o tardi, a trasformarsi in rifiuti, e tutti i processi produttivi generano rifiuti. Nella definizione del modello teorico Cradle to Cradle, elaborata da McDonough e Braungart nel 2002, era stato messo in evidenza come la sfida ambientale legata al consumo di risorse e alla produzione di rifiuti costituisse un problema puramente progettuale: il progettista deve proporre soluzioni volte alla soddisfazione dei requisiti espressi dal programma, traducendole in soluzioni chiare e verificabili; ha quindi il potere di influenzare la produzione futura di rifiuti in fase di costruzione, uso e demolizione.
Dunque, il presupposto è che i rifiuti siano il risultato di un errore progettuale e per questo motivo ogni strategia di contenimento della loro produzione debba necessariamente partire dalla fase progettuale, individuando i casi che possano determinare dei rifiuti e proponendo soluzioni atte all’eliminazione o almeno al contenimento della loro produzione. È necessario dunque prevedere una riduzione di rifiuti all’origine, modello certamente più sostenibile di ogni altro intervento. Invece di cercare una soluzione alla sempre crescente quantità di rifiuti, si deve intervenire nella fase in cui i rifiuti non esistono ancora, provando ad adottare processi che ne riducano la produzione.
Criterio di precauzione
Il criterio di precauzione rappresenta il XV principio di responsabilità e diritti dei paesi che parteciparono nel 1992 a Rio de Janeiro alla conferenza sull’ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite. Nel campo della progettazione esistono molti limiti, ma anche molte opportunità nello sviluppo di strategie di contenimento della produzione di rifiuti a partire dalla ricognizione delle risorse materiche presenti nel contesto in cui l’architettura stessa dovrà sorgere. Tuttavia, mentre per i progettisti è ormai manifesta la necessità di adottare soluzioni energeticamente efficienti, la scrupolosa scelta di materiali e prodotti – se non per questioni di natura prevalentemente estetica – non è ancora percepita come una priorità assoluta, e per tale motivo si scelgono prodotti che offrono ottime prestazioni termiche senza però valutarne l’impatto sull’ambiente una volta dismessi.
Eppure, la ricerca di materiali e prodotti maggiormente prestanti è alla base delle attuali strategie energetiche che consentono di realizzare non solo edifici che non consumano energia, ma involucri che addirittura la producono. È necessario, quindi, affiancare al modello di edificio a energia zero il modello di edificio a rifiuti zero. Per iniziare a fare questo, serve comprendere che le decisioni prese in fase di progettazione determinano il tipo di rifiuto che si produce e influenzano anche le modalità della sua raccolta e smaltimento. Un termine comunemente usato, soprattutto negli Stati Uniti, facendo riferimento ai temi ambientali, è Design for Environment; si tratta di una progettazione in grado di ridurre l’impatto ambientale senza compromettere funzioni e qualità.
Progettazione orientata alla riduzione dei rifiuti
In questa progettazione orientata all’eliminazione o contrazione dei rifiuti, nonché alla corretta gestione degli stessi e delle risorse, è necessario:
- Impiegare risorse facilmente reperibili a basso impatto ambientale ed economico, valutando attentamente anche la fase di trasporto
- Adottare prevalentemente elementi di recupero, riciclati o, in ultima battuta, riciclabili
- Utilizzare soluzioni a bassa complessità, nonché il coinvolgimento di un numero crescente di operatori che induce a modifiche in corso d’opera e genera una maggiore quantità di rifiuti
Design for durability
Una delle soluzioni in grado di minimizzare i costi ambientali e la produzione di rifiuti è quella che prevede l’impiego di materiali caratterizzati da una durata maggiore e da una certa facilità di manutenzione. L’impiego di materiali a elevata durabilità, suscettibili di interventi di manutenzione programmata senza sostituzione, può costituire un buon criterio preventivo e complementare alle strategie di riciclaggio per la contrazione di rifiuti prodotti. Per questo motivo, il settore della manutenzione di ogni componente edilizia diventa cruciale. Sono quindi auspicabili azioni e pratiche che allunghino la vita utile dei prodotti, soluzioni attraverso le quali si possa rallentare l’erosione delle risorse naturali e la produzione di macerie, garantendo al contempo il benessere richiesto dagli utenti.
Una visione strategica delle attività manutentive contribuisce in maniera determinante alla minimizzazione dei rifiuti, anche se è ovvio che nel settore delle costruzioni, la durabilità è un requisito prevalente sulla riciclabilità, poiché sott’intende una stabilità nell’uso del territorio, altrettanto importante ai fini dell’impatto ambientale. È, però, vero che negli ultimi decenni i fenomeni di obsolescenza funzionale degli edifici e tecnologica dei loro componenti si sono notevolmente accelerati. Modelli d’uso e funzioni più complesse per gli edifici di minore durabilità di materiali e nuove soluzioni impongono una maggiore frequenza di intervento sul patrimonio edilizio esistente.
Design for deconstruction
Per rendere effettive le politiche di riuso e riciclaggio possono essere adottate soluzioni che contemplano fin dalla fase progettuale la dismissione del manufatto: ciò significa adottare soluzioni costruttive che consentono successive operazioni di recupero e che rendono possibili interventi non distruttivi, bensì conservativi degli elementi. Aggiornare, riparare, riusare e riciclare risulta certamente più semplice se si impiegano sistemi di connessione che consentano pulizia, separazione e smontaggio selettivo. La qualità e l’integrità dei componenti e dei materiali recuperabili è determinante ai fini del loro riuso, così come lo è la non contaminazione delle macerie per produrre un riciclato di qualità. Un’architettura concepita con principi di reversibilità diventa un’opera aperta, modificabile nei suoi effetti formali, funzionali e tecnologici. Anche se la flessibilità di un edificio o di un componente non è più sufficiente a superare l’obsolescenza funzionale, è proprio il modo di concepire un progetto reversibile che cambia il rapporto con il tempo.
Molti dei componenti edilizi che hanno superato i due decenni di impiego non sono in grado di soddisfare le prestazioni attualmente richieste in termini acustici, termici, di tenuta all’acqua e di resistenza al fuoco, tanto da non rispettare la normativa vigente e non poter essere riutilizzati per gli stessi fini. È per rispondere a nuove esigenze che si progettano manufatti edilizi che risultano facilmente decomponibili nei loro elementi costitutivi, evitando quindi assemblaggi a umido di difficile rimozione e favorendo assemblaggi a secco. Il montaggio a secco cambia concretamente le consuetudini già radicate nel processo edilizio del progetto: riduce l’incidenza delle lavorazioni tradizionali, trasformando gli elementi in manufatti più complessi, richiede maggiori competenze e, quindi, manodopera specializzata. Ovviamente vale la pena precisare che non tutto ciò che è assemblato a secco è leggero o effettivamente riciclato e riciclabile.
R x 4
Ormai da tempo si parla del problema dei rifiuti e sono molte le teorie proposte, tra le quali la più convincente – particolarmente sotto l’aspetto della comunicazione – è la regola delle quattro R:
- Riduzione dei rifiuti prodotti
- Riuso con medesima o diversa funzione
- Riciclo e conversione in prodotti utili
- Recupero di altro tipo, per esempio, produzione di energia
Le prassi per attuare ciascuna di queste R sono in realtà complesse e non definite in termini compiuti. Questo vale per tutti i campi di applicazione, particolarmente per l’edilizia, settore complesso poiché ci sono molti materiali presenti e molte componenti eterogenee.
Il problema dello smaltimento di particolari rifiuti edili individua come prioritaria una corretta classificazione di materiali e componenti, comprensiva delle istruzioni per ottemperare a ciascuna delle quattro R per un corretto smaltimento.
Se dal punto di vista legislativo esiste un riferimento europeo con corrispondente declinazione nazionale, è chiaro che è fondamentale l’eco coscienza dei produttori, dunque del mondo industriale che possiede il know-how per sapere come fare e quanto costa per cominciare in tempi brevissimi.
Cosa dice la normativa europea
È stata di recente (all’inizio di settembre 2024) pubblicata la versione aggiornata del Protocollo Ue sulla Gestione dei Rifiuti da Costruzione e Demolizione.
L’obiettivo è quello di migliorare, già dalle fasi a monte della filiera, la gestione dei rifiuti da costruzione e demolizione per ridurre l’impronta ambientale del settore edile (uno di quelli a maggiore impatto in assoluto) e aumentare il ricorso a pratiche di riciclo e circolarità.
Il Protocollo, pubblicato per la prima volta nel 2016, nei giorni scorsi è stato reso disponibile in una versione aggiornata che include le linee guida degli Audit pre-demolizione e pre-ristrutturazione; strumenti che, sebbene non vincolanti, puntano a fornire supporto agli attori nazionali nella gestione dei rifiuti dell’edilizia e delle infrastrutture, in linea con le direttrici tracciate dal quadro normativo europeo.
Secondo quanto stimato dal Centro di Ricerca Comune (JRC) dell’Ue, il volume dei rifiuti da costruzione e demolizione generato nel 2020, inclusi i suoli, ammontava a oltre 850 milioni di tonnellate, più di un terzo degli scarti complessivamente generati dalle economie dell’Unione, ed è destinato a raddoppiare entro il 2050.
Anche se al momento la maggior parte degli Stati membri risulta aver raggiunto o superato l’obiettivo del 70% di riciclo al 2020 fissato dalla direttiva quadro sui rifiuti, non tutti i materiali recuperati vengono utilizzati in applicazioni di qualità, ma finiscono prevalentemente in riempimenti e sottofondi stradali.
L’obiettivo del Protocollo e delle Linee guida, si legge, è quindi quello di “aumentare la fiducia nel processo di gestione dei rifiuti e nella qualità dei materiali riciclati, condividendo una serie di regole e buone pratiche a cui professionisti e policy maker possano ispirarsi”.
I documenti, che la Commissione ha aggiornato in linea con le nuove sfide normative poste dal Green Deal europeo, la Renovation Wave e il Circular Economy Action Plan, coprono tutte le fasi della catena di gestione: dall’identificazione e valutazione dei materiali da costruzione prima della demolizione o ristrutturazione alla demolizione selettiva, dalla separazione e raccolta dei rifiuti alla fonte alla preparazione per il riuso e riciclaggio, fino alla gestione della qualità e ai trattamenti specifici per i rifiuti in linea con la gerarchia europea.
“Il riutilizzo e preparazione per il riutilizzo dei materiali da costruzione e dei componenti dell’edilizia offrono grandi potenzialità di risparmio di risorse ed energia, con importanti ricadute in termini di riduzione dei gas serra”, si legge nei documenti, che enfatizzano, in particolare, il ruolo degli audit lungo tutte le fasi del processo, e pongono l’accento, tra le altre, anche sulla necessità di un quadro regolatorio e di policy che, anche a livello nazionale, promuova la circolarità nel settore.
Prevedendo, per esempio, la messa al bando dello smaltimento in discarica o una tassazione equa, ma anche garantendo un’adeguata capacità di riciclo e stoccaggio e promuovendo acquisti verdi nella Pubblica Amministrazione.
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a cura di Antonio Rusconi
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