Economia

I soldi e gli Italiani. Censis: “L’Italia non investe nel futuro”

Dall'inizio della crisi gli italiani hanno accumulato liquidità aggiuntiva per 114,3 miliardi di euro, un valore superiore al Pil di un Paese intero come l'Ungheria

Ma quanti soldi hanno gli italiani in banca, in fondi, in titoli, in cassaforte e forse sotto il materasso?  Le cifre sono impressionanti. Il caso di Milano e provincia è eloquente. Lo citava qualche giorno fa in un editoriale del Corriere della Sera Ferruccio de Bertoli. Secondo i dati di Confindustria, i soli depositi bancari di  Milano, Monza e Brianza, — fatto 100 l’indice del 2008, anno di inizio della crisi finanziaria — oggi sfiorano quota 150. In pratica in 6 anni di crisi i milanesi hanno messo in banca ulteriori 50 miliardi di euro.

Invece gli impieghi delle banche diretti alle imprese scendono. Sono intorno a quota 70 sempre in rapporto al 100 del 2008. I titoli a custodia delle famiglie ammontavano nel giugno scorso a 220 miliardi. Quelli delle imprese a 30. La ricchezza prodotta ogni anno dal territorio milanese è intorno ai 170 miliardi.

Più in generale, la ricchezza finanziaria, immobili esclusi, degli italiani è stimata in poco meno di 4 mila miliardi.

Impressionanti sono i dati che contiene il capitolo «La società italiana al 2016» del 50° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2016 rilasciato qualche giorno fa. Il Censis  svolge da oltre cinquant'anni una costante attività di ricerca, consulenza e assistenza tecnica in campo socio-economico.

L’Italia è diventata – afferma il Censis – un paese che vive di rendita, un ”rentier” detto alla francese. Rispetto al 2007, dall'inizio della crisi gli italiani hanno accumulato liquidità aggiuntiva per 114,3 miliardi di euro, un valore superiore al Pil di un Paese intero come l'Ungheria. La liquidità totale di cui dispongono in contanti o depositi non vincolati (818,4 miliardi di euro al secondo trimestre del 2016) è pari al valore di una economia che si collocherebbe al quinto posto nella graduatoria del Pil dei Paesi Ue post-Brexit, dopo la Germania, la Francia, la stessa Italia e la Spagna.

Quasi il 36% degli italiani tiene regolarmente contante in casa per le emergenze o per sentirsi più sicuro e, se potessero disporre di risorse aggiuntive, il 34,2% degli italiani le terrebbe ferme sui conti correnti o nelle cassette di sicurezza. Così, con una incidenza degli investimenti sul Pil pari al 16,6% nel 2015, l'Italia si colloca non solo a grande distanza dalla media europea (19,5%), da Francia (21,5%), Germania (19,9%), Spagna (19,7%) e Regno Unito (16,9%), ma è tornata ai livelli minimi dal dopoguerra.

Emerge una Italia rentier, denuncia il Censis, che si limita a utilizzare le risorse di cui dispone senza proiezione sul futuro, con il rischio di svendere pezzo a pezzo l'argenteria di famiglia.

Dietro tutto ciò vi è l’immobilità sociale. Le aspettative degli italiani continuano a essere negative o piatte. Il 61,4% è convinto che il proprio reddito non aumenterà nei prossimi anni, il 57% ritiene che i figli e i nipoti non vivranno meglio di loro (e lo pensa anche il 60,2% dei benestanti, impauriti dal downsizing generazionale atteso). Il 63,7% crede che, dopo anni di consumi contratti e accumulo di nuovo risparmio cautelativo, l'esito inevitabile sarà una riduzione del tenore di vita. Fare investimenti di lungo periodo è una opzione per una quota di persone (il 22,1%) molto inferiore a quella di chi vuole potenziare i propri risparmi (il 56,7%) e tagliare ancora le spese ordinarie per la casa e l'alimentazione (il 51,7%). L'immobilità sociale genera insicurezza, che spiega l'incremento dei flussi di cash.

Di fatto l’Italia è un paese ancora sotto shock e che ha bisogno di molti cambiamenti.

(eb)